questo post mi è venuto in mente un po’ di giorni fa, ci ho pensato e ripensato su.
ecco perchè "un po’ di giorni fa". ora credo di poterlo partorire, per cui…
sabato scorso (il 29 novembre) era la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (per dovere di precisione la giornata internazionale istituita nel 1999 cadeva in realtà il 25, ma più o meno ovunque si è tentato di fare una manifestazione il sabato), quindi manifestazione con corteo indetta da un po’ di tempo, con adesioni varie e una sana impostazione non partitica.
e allora tutto bene direte voi?
ebbene no.
no, perché la partecipazione era meno numerosa di quelle dei party che organizziamo in terrazza, e durante i quali ci si diverte sicuramente di più.
no, perché non se ne può più di cortei durante i quali ci sono ancora delle femministe che hanno il coraggio di gridare "tremate le streghe sono tornate".
no, perché c’è una tale frammentazione, una tale incompatibilità e mancanza di dialogo tra quelle che dovrebbero essere le femministe e le attiviste attuali, che viene lo sconforto solo a guardarle.
no, perché le donne che subiscono violenza o che sono a rischio di subirla non c’erano.
no, perché i messaggi lanciati possono essere condivisibili, ma non smuovono nulla ne mediaticamente ne a livello umano.
no, perché non c’è alcuna forza, alcuna vitalità, alcuna spinta in nessuno dei collettivi che vi hanno preso parte.
no, perché le femministe (e lesbiche) di cui era composto il corteo non hanno più reale contatto con quello che è il femminismo attuale, le dinamiche di comunicazione, le modalità di azione e di confronto.
In alcuni post vi ho raccontato delle riot e di come il loro movimento, prevalentemente ispirato e in qualche modo rappresentato da giovanissime, fosse un netto e radicale rifiuto di un femminismo scialbo, privo di forza e totalmente lontano dalla realtà.
Ebbene ci risiamo.
O ci siamo sarebbe meglio dire, visto che qui in Italia tutto, ma proprio tutto deve arrivare con un ritardo clamoroso, tanto da perdere almeno la metà di quella che potrebbe essere la sua forza propulsiva naturale.
E queste riflessioni mi sono venute in mente non solo per il corteo e il confronto con i vari collettivi presenti in sé, ma anche dal prosieguo della mia giornata, come d’obbligo alla casa internazionale delledonne, a parlare dell’evento, del fallimento, delle ragioni, di ciò che accade.
Beh, la scena è più o meno questa: cena al ristorante, per l’occasione trasformato in una mensa non proprio popolare quanto a prezzi, bicchieri e piatti di plastica a go-go (in effetti penso sia questo che si intendesse con mensa, e fanculo l’ecologia) e una quantità di donne (99% lesbiche) sedute a chiacchierare.
Quale migliore occasione per intavolare una bella serena e franca discussione, no?
Al mio tavolo per grazia della dea, c’era un gruppo eterogeneo, una coetanea della mia mamma che ha fatto il governo vecchio, una credo più giovane che mi sembrava avesse una bella testa, ma non tanta voglia di esprimersi, almeno in quella serata, io che stavo esplodendo come al solito per dire la mia, un’altra donna (l’0.5% etero/bi) quarantacinquenne, anche lei molte idee e anche bene espresse, e un’amica dalle idee un po’ confuse, a mio parere, ma non per questo meno interessanti (per la cronaca il restante 0.5% queer).
E allora?
E allora è venuta fuori una bella discussione, nella quale io ho, con la mia solita veemenza, espresso il disappunto per tutta una serie di cose, che davvero ormai non capisco proprio più.
1) come è possibile che in un corteo del 2009 si lancino messaggi che potevano essere apprezzabilissimi 40 anni fa, ma che non credo ci sia bisogno di spiegare siano ormai ingialliti, o un tantinello fuori fuoco, se non altro.
2) come è possibile che in un corteo fatto da donne si senta musica vecchia quanto quegli slogan e ancora la cosa più "tosta" e femminista che si è sentita sia "rebel girl" delle bikini kill (1993).
3) come è possibile che in un corteo così importante non ci siano abbastanza donne da fare notizia e che alla fine i fotografi, peraltro prevalentemente maschi, erano più delle manifestanti.
4) come è possibile che in tutti questi anni, in centinaia e centinaia di assemblee alla fine non si riesca a creare una vera rete femminista o rete di femmine o come la vogliate chiamare, in cui artiste, pensatrici, politiche e donne attiviste possano collaborare e creare assieme, ognuna facendo quello che sa fare meglio, senza voler fare meglio delle altre.
5) e ancora come è possibile che mi sento sempre come in un deja-vu, stesse facce, stesse persone che reggono gli striscioni, stesse donne che gridano dai megafoni, stesse voci che ti chiedono un contributo per l’autofinanziamento.
che tutto sommato volendo semplificare e ridurre all’essenziale sarebbe, sempre con la mia solita veemenza e scarsissimo tatto: che ci fate ancora qui a guidare, anzi troppo spesso monopolizzare manifestazioni, collettivi e luoghi quando ormai non avete niente più da dare, quando siete ormai lontane una quarantina d’anni su per giù da quello che è il reale femminismo.
Non vedete come la vostra pratica non ha più un peso concreto, come il vostro linguaggio sia stantio perché siamo cresciute con le vostre parole e guardate dove ci hanno portato.
E’ una crisi talmente lunga e non affrontata che se continua così le donne cominceranno a pensare che è questo il femminismo.
E il femminismo è tutt’altro.
Le femministe sono, devono essere altro.
Smettetela di litigare per il ridicolo potere di decidere cose insignificanti, di guardarvi senza ricordarvi che siete sorelle, di parlare di quelle che non ci sono con invidia, perché è questo quello che vi sento fare.
Parlate il linguaggio dei blog e dei media alternativi, ascoltate la musica contemporanea, traducete poesia, create reti vere, attive, comunicanti e funzionanti, perché è qui che le femministe vivono.